Per stupirvi anche voi guardate i video dei miraggi del 2005 e del 2006 (dal sito ufficiale della città di Penglai).
[Tratto da www.focus.it]
“Ogni singolo uomo vede soltanto una porzione della verità complessiva; e molto spesso, in realtà quasi sempre, egli deliberatamente s'inganna anche su questo piccolo prezioso frammento" [...] [Fred/Bob Arctor – Un oscuro scrutare - P.K.Dick]
Orario
tutti i giorni dalle 10 alle 20
giovedì dalle 10 alle 22
chiuso il lunedì
Prezzo biglietto
Intero: 6,50 euro
Ridotto: 5 euro
Scuole: 3 euro
Manuel Agnelli ha nel frattempo conosciuto Greg Dulli (ex-Afghan Whigs, ora Twilight Singers) con il quale sono prima nate collaborazioni reciproche dal vivo, poi ripetute anche in studio. "Ballate per piccole iene" è il risultato di questo lungo studio di sonorità supervisionate da un grande produttore come John Parish (P.J. Harvey, Eels, Sparklehorse, Tracy Chapman). Quello che ne è uscito è un album intenso come già gli Afterhours ci hanno abituati in passato, ma che acquista sempre più consapevolezza ed equilibrio.
Anche questa volta le emozioni vengono toccate tutte, da quelle più rabbiose a quelle più struggenti, già da "La sottile linea bianca" che apre il disco con un inciso ipnotico e feedback spinti all'estremo. Segue "Ballata per la mia piccola iena", che con il suo straordinario crescendo vocale oltre a richiamare il titolo del disco è anche il primo singolo estratto. Il rock più duro prende forma sulle potenti distorsioni di "E' la fine la più importante", mentre si smorzano i toni diventando velati sull'onda della ballata intitolata "Ci sono molti modi".
Immaginiamo la vita come la fotografia e la nostra visione di essa come la visione che della realtà ha il fotografo. La guardiamo pertanto attraverso un mirino nel quale componiamo la scena e cerchiamo di vederla da diverse angolazioni, cercando quella più d’effetto, quella che si avvicina di più ai nostri canoni di bellezza rispettando o stravolgendo i fotèmi classici, ma non sempre ci riusciamo. La luce imprime la realtà artefatta dalla sapiente arte del fotografo sulla pellicola. Abbiamo così un negativo e una stampa esattamente opposta a quella realtà impressa sulla celluloide. La realtà nelle sue due forme, nessuna scindibile dall’altra, bensì complementare: se una non esistesse l’altra non esisterebbe di conseguenza. Lo stesso identico scatto visto in due modi diversi.
Ma come componiamo la nostra scena? Come creiamo la nostra realtà?
Possiamo decidere di inquadrare un particolare e concentrarci su quello. Possiamo curare la resa di quel singolo dettaglio fino all’ossesso, cercando di dargli un senso che però sarà scisso dal tutto.
Oppure siamo quel tipo di fotografi a cui piacciono le vedute di ampio respiro, dove tutto quello che includiamo nella scena per noi ha un senso riposto nelle segrete interconnessioni con ciò che lo circonda? Nel primo caso probabilmente ci perderemo concetti importanti, analizzando troppo il dettaglio. Nel secondo, probabilmente, se non fossimo dotati di abile regia, rischieremo di confondere la scena.
La soluzione? E’ nello zen. Il libero fluire dell’arte. Che la foto si componga da sé.
[C.F.]